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Giu 12, 2014 alle 16:42 #1343
Prendo spunto da alcuni post che ho letto nel forum del Gruppo di lavoro “Verso rifiuti zero” sulla raccolta differenziata, provando a rispondere alla domanda ricorrente : ma possibile che dopo tanta fatica che fa il cittadino per separare il proprio rifiuto, il gestore della raccolta lo smaltisce in modo indifferenziato, che senso ha?
La sfiducia nella ‘gestione del servizio pubblico’ è talmente radicata che appena si sente una voce nell’aria o più concretamente qualche ‘simpatico’ operatore dire ciò, gli si crede al volo, tanto serve per giustificare immediatamente l’avversione a fare quel tanto di fatica in più che spesso spinge a buttare tutto insieme nello stesso cassonetto.
L’argomentazione non è semplice, non è univoca e potrebbe non convincere i più. Ma questo perché il tema dei rifiuti è complesso, mette in gioco e sullo stesso tavolo questioni economiche, questioni tecnologiche e purtroppo, nel nostro paese, anche questioni di malaffare per cui è almeno comprensibile una certa tendenza a vederci poco chiaro, insomma ad essere sospettosi.
Vorrei provare tuttavia a dare qualche spunto di discussione e di riflessione esponendo alcune affermazioni:
– puo’ darsi , non è da escludere, che parte dei rifiuti che vengono raccolti in modo differenziato vengano poi smaltiti in discarica o nell’inceneritore in modo indifferenziato. Ma questo non succede per incuria o follia del gestore ma solo ed esclusivamente per ragioni di mercato, perché il rifiuto che è stato inserito nei cassonetti (carta, vetro, alluminio, plastica) non aveva le caratteristiche di qualità necessarie affinché il consorzio obbligatorio specializzato per la raccolta di quella categoria merceologica (CONAI, COREPLA, COREVE, etc) lo potesse acquistare per essere rivenduto ad imprese che da quel rifiuto traggono materia prima.
– Molti gestori ‘trattano’ nel senso che puliscono il rifiuto raccolto in modo differenziato prima di consegnarlo per essere venduto al Consorzio Obbligatorio ma non sempre questo è sufficiente.
– Altre volte i motivi sono di tipo tecnologico, perché’ gli inceneritori che bruciano il rifiuto indifferenziato hanno la necessità di avere una ‘composizione’ ottimale in termini di umidità, consistenza, volumi, ecc. per bruciare al meglio e quindi il gestore deve integrare il rifiuto indifferenziato con frazioni di altro rifiuto avente queste caratteristiche.Quindi il tema ancora una volta è: fare bene la raccolta differenziata a tutti i livelli.
Fare bene la raccolta differenziata vuol dire da parte del cittadino garantire la ‘qualità ‘ del rifiuto (vetro e plastica pulite, organico puro), mentre da parte del gestore vuol dire ad esempio rispetto dei giorni e degli orari di raccolta, disponibilità di cassonetti puliti ed integri, facile accesso agli stessi.
Però si consenta una piccola divagazione e di vedere la questione un po’ più in prospettiva.
Come cittadini è probabilmente arrivato il momento (in realtà se ne parla da anni) di porre seriamente il problema esiziale di come nella vita pratica di tutti i giorni si possano anzi si debbano produrre meno rifiuti.
Produrre meno rifiuto può significare cose semplici, ad esempio:
– comperare solo le ricariche dei detersivi e non tutte le volte il contenitore di plastica,
– comperare il latte ai distributori automatici
– scegliere un prodotto che abbia meno imballaggio possibile a parità di prestazione
– prediligere prodotti che possano prevedere pezzi di ricambio, cosi si butta via solo la parte rotta e non tutto il prodotto.
– significa anche ridurre sprechi alimentari, come facevano i nostri nonni, che oltre a produrre meno rifiuto ci fa anche risparmiare.
– significa ricominciare a pensare che parole come riciclo e riuso non hanno sempre un significato negativo, sinonimo di scarsità di mezzi e, soprattutto, significa cambiare radicalmente l’approccio alla produzione di beni e servizi e cambiare la nostra modalità di essere consumatori e quindi cittadini.Piacerebbe infine che, come cittadini, ogni volta che mettiamo nel nostro cassonetto sotto casa la bottiglia di vetro ci sentissimo veramente parte di una comunità ampia e complessa che cerca di trovare nuove modalità e nuovi paradigmi per garantire a se’ ed ai suoi figli un domani di crescita e sviluppo ma basato su regole diverse.
I nostri rifiuti riciclati del resto contribuiscono a creare ed a mettere in pratica quella ‘economia circolare’ teorizzata e portata avanti da politiche pubbliche europee e da alcuni paesi avanzati che prevede di passare da una economia lineare basata su estrazione materia prime–produzione –consumo –rifiuto ad una economia circolare in cui un’industria di rifiuti genera un’altra materia prima riutilizzata da altre imprese.Ma i cambiamenti, tutti i cambiamenti, necessitano inevitabilmente di azioni di sistema in cui istituzioni, imprese, cittadini-consumatori (e partiti) generano azioni integrate di co-evoluzione dell’economia e degli stili di vita.
Affinché’ il processo si inneschi serve maggiore consapevolezza che il nostro comportamento locale ha ricadute globali e l’esperienza quotidiana ci insegna che la strada più veloce per produrre consapevolezza e’ sicuramente la partecipazione: la partecipazione alle decisioni, la partecipazione al monitoraggio degli effetti che quelle decisioni hanno prodotto.
Il lavoro cominciato con il progetto di Luoghi ideali, “verso rifiuti zero” proprio a questo dovrebbe servire, per questo non è ininfluente se differenziamo male o bene. -
Giu 12, 2014 alle 16:45 #1344
Prendo spunto da alcuni post che ho letto nel forum del Gruppo di lavoro “Verso rifiuti zero” sulla raccolta differenziata, provando a rispondere alla domanda ricorrente : ma possibile che dopo tanta fatica che fa il cittadino per separare il proprio rifiuto, il gestore della raccolta lo smaltisce in modo indifferenziato, che senso ha?
La sfiducia nella ‘gestione del servizio pubblico’ è talmente radicata che appena si sente una voce nell’aria o più concretamente qualche ‘simpatico’ operatore dire ciò, gli si crede al volo, tanto serve per giustificare immediatamente l’avversione a fare quel tanto di fatica in più che spesso spinge a buttare tutto insieme nello stesso cassonetto.
L’argomentazione non è semplice, non è univoca e potrebbe non convincere i più. Ma questo perché il tema dei rifiuti è complesso, mette in gioco e sullo stesso tavolo questioni economiche, questioni tecnologiche e purtroppo, nel nostro paese, anche questioni di malaffare per cui è almeno comprensibile una certa tendenza a vederci poco chiaro, insomma ad essere sospettosi.
Vorrei provare tuttavia a dare qualche spunto di discussione e di riflessione esponendo alcune affermazioni:
– puo’ darsi , non è da escludere, che parte dei rifiuti che vengono raccolti in modo differenziato vengano poi smaltiti in discarica o nell’inceneritore in modo indifferenziato. Ma questo non succede per incuria o follia del gestore ma solo ed esclusivamente per ragioni di mercato, perché il rifiuto che è stato inserito nei cassonetti (carta, vetro, alluminio, plastica) non aveva le caratteristiche di qualità necessarie affinché il consorzio obbligatorio specializzato per la raccolta di quella categoria merceologica (CONAI, COREPLA, COREVE, etc) lo potesse acquistare per essere rivenduto ad imprese che da quel rifiuto traggono materia prima.
– Molti gestori ‘trattano’ nel senso che puliscono il rifiuto raccolto in modo differenziato prima di consegnarlo per essere venduto al Consorzio Obbligatorio ma non sempre questo è sufficiente.
– Altre volte i motivi sono di tipo tecnologico, perché’ gli inceneritori che bruciano il rifiuto indifferenziato hanno la necessità di avere una ‘composizione’ ottimale in termini di umidità, consistenza, volumi, ecc. per bruciare al meglio e quindi il gestore deve integrare il rifiuto indifferenziato con frazioni di altro rifiuto avente queste caratteristiche.Quindi il tema ancora una volta è: fare bene la raccolta differenziata a tutti i livelli.
Fare bene la raccolta differenziata vuol dire da parte del cittadino garantire la ‘qualità ‘ del rifiuto (vetro e plastica pulite, organico puro), mentre da parte del gestore vuol dire ad esempio rispetto dei giorni e degli orari di raccolta, disponibilità di cassonetti puliti ed integri, facile accesso agli stessi.
Però si consenta una piccola divagazione e di vedere la questione un po’ più in prospettiva.
Come cittadini è probabilmente arrivato il momento (in realtà se ne parla da anni) di porre seriamente il problema esiziale di come nella vita pratica di tutti i giorni si possano anzi si debbano produrre meno rifiuti.
Produrre meno rifiuto può significare cose semplici, ad esempio:
– comperare solo le ricariche dei detersivi e non tutte le volte il contenitore di plastica,
– comperare il latte ai distributori automatici
– scegliere un prodotto che abbia meno imballaggio possibile a parità di prestazione
– prediligere prodotti che possano prevedere pezzi di ricambio, cosi si butta via solo la parte rotta e non tutto il prodotto.
– significa anche ridurre sprechi alimentari, come facevano i nostri nonni, che oltre a produrre meno rifiuto ci fa anche risparmiare.
– significa ricominciare a pensare che parole come riciclo e riuso non hanno sempre un significato negativo, sinonimo di scarsità di mezzi e, soprattutto, significa cambiare radicalmente l’approccio alla produzione di beni e servizi e cambiare la nostra modalità di essere consumatori e quindi cittadini.Piacerebbe infine che, come cittadini, ogni volta che mettiamo nel nostro cassonetto sotto casa la bottiglia di vetro ci sentissimo veramente parte di una comunità ampia e complessa che cerca di trovare nuove modalità e nuovi paradigmi per garantire a se’ ed ai suoi figli un domani di crescita e sviluppo ma basato su regole diverse.
I nostri rifiuti riciclati del resto contribuiscono a creare ed a mettere in pratica quella ‘economia circolare’ teorizzata e portata avanti da politiche pubbliche europee e da alcuni paesi avanzati che prevede di passare da una economia lineare basata su estrazione materia prime–produzione –consumo –rifiuto ad una economia circolare in cui un’industria di rifiuti genera un’altra materia prima riutilizzata da altre imprese.Ma i cambiamenti, tutti i cambiamenti, necessitano inevitabilmente di azioni di sistema in cui istituzioni, imprese, cittadini-consumatori (e partiti) generano azioni integrate di co-evoluzione dell’economia e degli stili di vita.
Affinché’ il processo si inneschi serve maggiore consapevolezza che il nostro comportamento locale ha ricadute globali e l’esperienza quotidiana ci insegna che la strada più veloce per produrre consapevolezza e’ sicuramente la partecipazione: la partecipazione alle decisioni, la partecipazione al monitoraggio degli effetti che quelle decisioni hanno prodotto.
Il lavoro cominciato con il progetto di Luoghi ideali, “verso rifiuti zero” proprio a questo dovrebbe servire, per questo non è ininfluente se differenziamo male o bene. -
Giu 13, 2014 alle 1:55 #1345
@patriziabianconi
Il tuo è un ottimo intervento e lo condivido in pieno.
Il punto, oltre agli operatori buontemponi, è che molto spesso il cittadino ha a che fare con altri cittadini non educati al riciclo e che mischiano, ad esempio, la carta col vetro, vetro non lavato e plastica e, nel più dei casi, buttano tutto nel non riciclabile, per pigrizia dovuta a maleducazione.
Che fare, poi, con quelli che ti fregano il cassonetto per dispetto?
E con quelli che buttano nel tuo cassonetto della carta una bottiglia di plastica, che così ti possono multare?Vorrei consigliare questo corso:
https://www.coursera.org/course/introtolcaAndrea
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Giu 13, 2014 alle 22:50 #1349
Ciao a tutti
mi ricollego ai post di Patrizia e Andrea per raccontare un pezzo del progetto di Milano via Padova e lanciare una proposta/riflessione
A Milano la raccolta differenziata porta a porta si fa da anni, e anche la frazione umida e’ ormai raccolta e differenziata in tre quarti della città
Funziona abbastanza bene, però restano zone o singoli condomini, spesso quelli a forte immigrazione, dove fare bene la differenziata è più difficile, le multe sono pesanti e questo aumenta la conflittualità e la diffidenza all’interno dei caseggiati
Noi vogliamo lavorare su questo. Trasformando la gestione dei rifiuti in un momento di conoscenza e scambio reciproco, mettendo a disposizione un servizio di pronto intervento, affidato a ragazzi di seconda generazione, che possa intervenire, in occasioni informali (una merenda per i bambini) spiegando ai condomini come si fa correttamente la raccolta differenziata.
e facendo leva anche sull’aspetto economico, quantificando il costo delle multe comminate al condominio in interventi di manutenzione o, più banalmente, risparmi per la singola famiglia
Certo, con l’obiettivo di arrivare, con il tempo a quelle pratiche virtuose che elenca Patrizia. Partendo però dal bisogno più immediato, ridurre le multe, per trasformarlo in pratica di “bene comune”
e qui arrivo alla seconda parte della riflessione
ieri sera, tornando a casa in bicicletta, ho attraversato corso Buenos Aires (via super commerciale di Milano), chiusa al traffico per la prima partita dei mondiali. La strada era invasa da centinaia di bicchieri e bottiglie di plastica e vetro, buttate per terra in attesa del passaggio di Amsa
Difficile parlare di educazione civica e bene comune alla folla di una partita dei mondiali, o di un concerto, a meno che non si introduca, nuovamente, un incentivo che apra la strada al senso civico
penso ovviamente ai vuoti a rendere, spariti in Italia da decenni, e invece ben presenti in nord europa, dove i sabati sera si concludono (quasi) sempre con gruppi di ragazzi che raccolgono le bottiglie per guadagnare con la resa del vuoto.
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Giu 13, 2014 alle 20:39 #1348
Tutti spunti interessantissimi, e da Patrizia non potrei aspettarmi molto di meno. Proverei a Romanizzare un po’ i temi, argomentando ad esempio che c’è un ritardo nelle catene di distribuzione (qui non è così immediato trovare i distributori di latte e di detersivi, non così prossimo). Situazione che magari lascia spazio all’iniziativa dei piccoli imprenditori che abbiano voglia di fare bottega di prossimità, o che magari associno altri contenuti etici e di sostenibilità a queste iniziative.
Il tutto merita comunque un approfondimento che potremo condurre qui come nel corso degli incontri del gruppo di lavoro.
E ancora comunque: grazie!
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Giu 14, 2014 alle 14:12 #1350
Per una Calabria aperta
Da tempo esistono le condizioni perché la piana di Sibari e i territori che vi si affacciano compiano un “salto” di sviluppo e legalità che spinga la Calabria tutta. L’alleanza culturale, umana e operativa che può consentire questo salto riguarda tre risorse forti di quel territorio: il richiamo storico e ideale delle antiche città che affiorano dall’area archeologica di Sibari; una filiera agroalimentare di valore e capace di esportare; l’identità culturale e la qualità dei luoghi urbani e medioevali dalle pendici del Pollino fino al mare.
Questa alleanza è stata sinora bloccata. Non solo dagli interessi criminali, ma anche dalla difficoltà di cooperazione fra interessi e settori diversi, dalla discontinuità, dai ritardi e dall’opacità dell’azione amministrativa, dall’assenza di un progetto politico alto, assieme locale e nazionale. Ora le strutture territoriali del PD dell’area, d’intesa con il Pd della Regione, e attraverso il progetto nazionale “Luoghi Ideali” (cfr http://www.luoghideali.it), hanno scelto di affrontare e superare questi ostacoli. Per farlo, hanno promosso la costituzione di un Comitato per la Calabria apertache ha l’obiettivo di promuovere una visione strategica che risponda alle potenzialità esistenti e alla domanda di sviluppo delle eccellenze dell’area, come ad esempio il turismo e l’esportazione dei prodotti tipici, di verificare la qualità dell’azione pubblica e concorrere a sbloccare gli interventi fermi o in ritardo, di mettere a regime pratiche di partecipazione e di monitoraggio necessarie per mobilitare conoscenze e ricostruire fiducia.
Troppe volte si è provato a partire e troppe volte ci si è fermati per strada. Questo tentativo può farcela perché introduce novità di sostanza, nel metodo e nel primato della politica, il primato di una politica informata, trasparente e che sappia decidere.
In particolare, il progetto:
è fondato sull’ascolto, non sul comando: sull’audizione dei soggetti locali e nazionali rilevanti per i tentativi di questi anni e per il “salto”, non sulla costruzione di decisioni preconfezionate;
mira a stabilire gli elementi di una strategia, non si precipita a stilare liste di progetti scollegati;
parte da ciò che già è in corso, per capirne i problemi di attuazione, non ricomincia da capo;
si svolge in modo aperto, comunicando a tutti, sul web, gli incontri, i loro esiti, e sentendo chi vorrà essere ascoltato, non avviene fra un gruppo chiuso, a porte chiuse;
e poi è un progetto che il PD del territorio, della regione, intende utilizzare per costruire la propria “linea”, e che ha una robusta sponda nazionale, non è un lavoro in cerca di destinatari;
e infine prevede che i primi passi suggeriti dalla strategia siano compiuti con l’accompagnamento del Comitato stesso, entro marzo 2015, con lo scopo di mettere subito alla prova la concretezza del lavoro svolto e costruire fiducia.
Per tutte queste ragioni, le audizioni che il Comitato svolge fra il giugno e l’ottobre 2014 costituiscono l’occasione per ricostruire i principali tentativi e accadimenti, individuare opportunità mancate, segnalare criticità e punti di forza, alleati e nemici del cambiamento, iniziative in corso e idee nuove e punti di attacco della possibile svolta.
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Giu 15, 2014 alle 15:56 #1351
Prima di tutto voglio rendere merito alle riflessioni ed all’iniziativa di F. Barca da cui nasce questo sito: è il primo tentativo strutturato, con una importante riflessione teorica, più o meno condivisibile, per affrontare un problema, quello del rapporto tra “Partito Vero” e “Partito Legale” in un sistema democratico ed in una società complessa già ampiamente necessario a partire, almeno, dagli anni ’70. Ve lo dice uno che ha testardamente continuato a partecipare nel partito anche quando i colli di bottiglia e le inadeguatezze della forma partito, quella del PCI, pur con tanti meriti pregressi, rendevano frustrante, da un certo punto in avanti, l’impegno e la partecipazione.
Quindi cercherò di seguire gli esperimenti di questo sito ed in particolare quello di Catanzaro che si avvicina a questo tema e la tematica nazionale (se capisco il senso di questa topic) che lo accompagna.
Avendo scelto a suo tempo di dedicare una parte del mio tempo all’impegno e allo studio per promuovere il rapporto tra la politica nelle istituzioni e le idee che si andavano maturando nella mia struttura di base di riferimento (da 3 decenni la sezione/circolo del mio posto di lavoro: l’area di ricerca di Frascati (Roma) dove operano due enti pubblici di ricerca Enea e Infn) ho maturato riflessioni su parecchi argomenti relativi a questa tematica che spero possano essere utilmente inseriti in questa discussione.
In questo mio primo intervento mi limiterò ad elencare qualche titolo che poi spero di sviluppare nel dibattito:
1) Partito Vero e Partito Legale
2)elenchi partecipanti alle primarie (registrati) e iniziative dei circoli
3) circoli come luoghi della partecipazione e della discussione su interessi comuni e non comitati elettorali per le dinamiche amministrative
3) ruolo attualmente residuale dei circoli di posto di lavoro: come si fanno entrare le competenze del mondo dei lavori nel dibattito e nell’elaborazione del partito senza una presenza organica (circoli ambiente) in questi ambiti e relativi sbocchi tematici?
4) revisione della struttura organizzativa del PD almeno fino al livello delle federazioni per renderla funzionale a finalizzare questo “partito degli elettori con i circoli” (alla fine del percorso occorrerà pure fare una proposta organica di trasformazione di questo esilissimo e contraddittorio PD nello strumento per unificare le culture (nel partito vero) in un progetto politico capace di cambiare realmente le cose)
per adesso mi fermo qui anche perché sto ancora alla fase del test delle possibilità e della comprensione del funzionamento di questo sito.
Cari saluti
Benedetto Tilia
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Giu 20, 2014 alle 8:07 #1358
Fateci caso, nel dibattito politico quando si parla di rifiuti ci si riferisce, in genere, ai molti vantaggi della raccolta differenziata, alle percentuali di rifiuto differenziato raggiunte nei vari territori e, eventualmente, alle difficoltà operative nella realizzazione del sistema di raccolta su grandi agglomerati urbani. In maniera analoga quando si parla di energia il dibattito è monopolizzato dalle energie rinnovabili, dal loro costo e dall’impatto che hanno sul territorio.
Più difficilmente ci si imbatte in discussioni organiche che tengano in considerazione la complessità dei cicli produttivi e, più in generale, mettano in relazione l’attuale modello di sviluppo ai danni all’ecosistema.
Per dare un esempio della parzialità della discussione prendiamo in considerazione il caso dell’energia. A grandissime linee, in Italia, un terzo dell’energia utilizzata è costituita da combustibile necessario per scaldare gli edifici (spesso gas naturale), un terzo da carburante per autoveicoli e, solo un altro terzo, è connesso alla produzione di energia elettrica [1]. Le (importanti e necessarie) politiche atte a favorire la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili quali eolico e solare, vanno ad intaccare, quindi, solo un terzo del bilancio energetico, mentre, i restanti due terzi, restano, nei fatti, saldamente vincolati alle fonti fossili. Tuttavia il dibattito politico, così come rappresentato dai media, per anni è stato dominato dalle questioni relative alle energie rinnovabili e al loro impatto, mentre molto poco si è parlato dei benefici ambientali associati, ad esempio, al miglioramento del sistema di trasporto di persone e merci. Duole notare che in vari casi gli stessi politici (amministratori e dirigenti di partito) hanno spesso una visione folcloristica e assolutamente parziale delle tematiche ambientali.
Perché è così poco diffusa la consapevolezza sul ruolo cruciale del modello di sviluppo nell’equilibrio futuro dell’ecosistema? La questione è molto complessa e le cause di questa, spesso involontaria, mistificazione della realtà sono molteplici.
Uno spunto di riflessione che volevo condividere con voi è che una delle possibili ragioni di tale “inconsapevolezza” è che l’installazione di impianti di produzione di energie rinnovabili così come l’implementazione di un sistema di raccolta differenziata e dei necessari impianti di riciclaggio sono processi strettamente in linea con il modello di sviluppo che va avanti dalla rivoluzione industriale ad oggi e che può essere grossolanamente descritto così: la crescita del benessere e la crescita economica sono intimamente legate alla maggiore produzione (e vendita) di oggetti materiali e alla maggiore disponibilità di energia. Invece la decrescita dei consumi energetici totali (a parità di “benessere”), la riduzione degli spostamenti di merci, l’allungamento del tempo di vita delle merci non sono in linea con il modello di sviluppo dominante.
Detta in termini brutali, mentre una distesa di pannelli fotovoltaici ha immediati risvolti positivi in termini di crescita del PIL e crescita occupazionale (così come li ha l’implementazione di un sistema di raccolta differenziata e di recupero delle materie prime dai rifiuti), l’attuazione di programmi radicali di riduzione dei rifiuti (tassando ad esempio fortemente gli imballaggi, il cui scopo è molto spesso legato alla mera pubblicizzazione del prodotto e non alla sua protezione dal deperimento) e di riduzione dei consumi energetici potrebbe addirittura avere, nell’attuale modello di sviluppo, un effetto recessivo.In questo contesto la prima sfida culturale che un partito progressista ha davanti è quella di comprendere e veicolare, in primo luogo ai suoi iscritti e militanti, la complessità del problema ambientale e del suo intimo legame con il modello di sviluppo economico. Ciò non vuol dire sposare visioni “decresciste” [2] o, in qualche modo “utopiche”, né, tantomeno, mettere necessariamente l’ambiente davanti ad altre questioni cruciali quali lavoro e crescita, ma almeno andrebbe evitata la cieca idolatria verso numeretti sulla percentuale di raccolta differenziata e sulla produzione di energia elettrica fotovoltaica o eolica come se fossero necessariamente gli indicatori più opportuni per valutare l’efficacia di un percorso per la riduzione dell’impatto ambientale della attività umane. In tal senso, i seminari organizzati dal progetto “verso rifiuti zero” hanno il pregio ampliare lo sguardo sulle problematiche ambientali senza distogliere l’attenzione da singole (e importanti) tappe come, appunto, l’attuazione del sistema di raccolta differenziata a Roma.
[1] La situazione energetica è decisamente più complessa di come è stata presentata in questo breve articolo, si veda ad esempio il Bilancio Energetico Nazionale redatto dal ministero dello sviluppo economico http://dgerm.sviluppoeconomico.gov.it/dgerm/
[2] Esiste una vasta letteratura sul tema della decrescita, ritengo che, quantomeno per essere informati sul dibattito, che una lettura di Serge La Touche e delle varie critiche che sono state mosse alla sua visione, possa risultare interessante.
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Giu 20, 2014 alle 23:01 #1368
Mauro, metodologicamente mi chiedo (e quindi ti chiedo con artificio retorico) perché questo cambiamento debba essere lento.
Ieri abbiamo vissuto un altro passaggio del Luogo Idinteressante ea(le) Verso Rifiuti Zero, il seminario in cui -tra molto altro- Chiara Braga raccontava quanta coerenza ci sia negli ultimi provvedimenti in materia ambientale (rifiuti, energia, ecc.). Anche lei però lasciava trasparire che le ragioni della lentezza non stanno tanto nella mancanza di orientamenti e indirizzi politici, quanto nella capacità dei sistemi (per non dire del sistema, evocherebbe aule giudiziarie più che nozioni di fisica) di fare conservazione.
Faccio un riferimento: nel tuo post ricordi che il 30% dell’energia si usa per riscaldare edifici. Per curiosità personali e professionali so e ricordo quanto l’EU abbia sostenuto la ricerca e l’innovazione tecnologica proprio in tema di efficientamento energetico. Sento anche che il massimo beneficio per le economie sarebbe investire in edilizia, perché è più facile l’impiego di manodopera.
L’investimento cos’è? Una capitalizzazione tramite innovazione, non una semplice distribuzione di risorse, giusto?
E quindi non mi tornano i conti. Tutto converge eppure vedo indirizzi che non riescono ad essere significativi per impieghi di investimenti in edilizia finalizzati alla riconversione energetica del patrimonio pubblico e privato. Qualcosa in più dell’installare caldaie efficienti e finestre a tenuta stagna. Se ricordo i numeri di certi piani regionali destinati all’efficientamento degli edifici pubblici mi saltano i nervi per l’irrisorietà delle cifre in gioco. Che politiche regionali sono quelle che sostengono la cassa integrazione in deroga di imprese già messe in vendita o in via di smantellamento anziché finanziare una innovazione a portata di mano?
Guardo indietro anche a quello che è successo con il primo conto energia: si, abbiamo avuto effetti benefici ed immediati sul PIL, ma a costo della sottrazione di territorio agricolo e di paesaggio. Non è un bene comune il paesaggio? Quando invece si è trattato di usare i successivi conti energia (per chi conosce la vicenda) di amianto se ne rimosso poco nonostante gli incentivi coprissero i costi. Come dire: se la strada è semplice si percorre, altrimenti si rinuncia. La strategia del minimo attrito. La conservazione del moto (quanto è bella la fisica, se rinasco la studio sul serio)
Allora, se c’è un allora: la concertazione non ci piace più perché immobilizzante, ma il problema della governance rimane. Restiamo sul pezzo: i conti energia non si possono più scrivere solo con i produttori e gli installatori di pannelli solari; occorre coinvolgere anche gli utilizzatori finali (perché alla fine i primi scrivono i conti ma il capitale di rischio ce lo devono mettere questi ultimi).
Come dire: ci vuole un metodo diverso nelle politiche pubbliche, con cui si dica: se dobbiamo fare investimenti non li facciamo cedendo alle pressioni lobbistiche, ma proponendo un modello ambientale e di sviluppo (non c’è dicotomia possibile). Chi ci sta è benvenuto, chi non ci sta non provi a spingere in altre direzioni. Potremmo scoprire che oltre i soliti noti, gli stakeholder di peso, ci sono alleanze impensate eppure possibili.
Il metodo proposto da Luoghi Idea(li) è imprescindibile. Definiti gli obiettivi strategici (e questi non possono essere di breve momento, devono esprimere una ambizione di trasformazione) non puoi trascurare l’individuazione dei nemici-ostacolo e degli alleati-risorsa. E’ importante quanto la coerenza della strategia.
Potremmo avere a Roma una nuova politica dei rifiuti se fossimo rimasti ostaggio del grande monopolista? Marino (Estella) ieri ce lo ha ricordato con tenacia. Senza drammatizzazione, ma con una coerenza quasi testarda. Se solo il PD si adoperasse un po’ di più a far capire quanto sia stato importante.. Va be’, siamo PD anche noi, giusto?
Stop. Detesto i post lunghi. Sono andato sicuramente oltre i termini della leggibilità su schermo. Spero solo di aver debordato per passione e non per incoerenza.
Grazie della sollecitazione.
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Giu 21, 2014 alle 8:41 #1369
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Giu 21, 2014 alle 23:50 #1370
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Giu 23, 2014 alle 15:18 #1371
Centri storici minori in crisi. Se ne sente parlare un po’ ovunque. Da noi (Castelfranco di Sotto, comune di 14mila abitanti nella provincia pisana) il tema è oggetto di dibattito da quasi venti anni. Chiudono i negozi, le strade e le piazze si spopolano, il patrimonio edilizio privato – sopratutto in alcune strade “minori” – non subisce interventi di manutenzione da anni. A questo si aggiunga la particolare composizione sociale del centro, con presenza molto alta di anziani autoctoni e di famiglie di extracomunitari (il distretto della concia e della calzatura funge da attrattore di manodopera). Ci sono tutti gli ingredienti per generare quel senso di abbandono e di insicurezza sociale su cui la destra (non solo, purtroppo) ha costruito negli anni il proprio consenso. Si dà la colpa alla massiccia presenza di stranieri, oppure alle disposizioni che regolano l’accesso alle vie del centro (l’amministrazione nel 2010 ha chiuso la ztl al traffico, e ha regolato la sosta dei residenti. Si tenga conto che intorno al centro storico ci sono più di 400 posti auto gratuiti) che minerebbero la sicurezza, la vivibilità e la fruibilità dello stesso. A volte anche gli amministratori di sinistra ci “cascano” e fanno installare le telecamere del grande fratello (è accaduto anche da noi nel 2009). Altre volte invece provano ad essere più “coraggiosi”. A seguito dell’esperienza maturata da un processo di partecipazione finanziato dalla Regione Toscana e relativo all’insediamento di un impianto di pirogassificazione di rifiuti industriali, l’assessorato all’urbanistica e alla partecipazione (di cui sono stato titolare dal 2009 fino alle elezioni del maggio 2014) decide di avviare due nuovi progetti. Il primo è un processo di partecipazione che coinvolge cittadini, operatori e portatori di interesse nella redazione della variante generale al Regolamento Urbanistico: tra i tavoli attivati, ben due sono dedicati al tema della rigenerazione del centro storico. Il secondo progetto origina in parte dal primo e riguarda esclusivamente la rigenerazione del centro storico, con particolare attenzione alla riattivazione dell’uso dello spazio pubblico e della rete commerciale, sostenendo progetti imprenditoriali o culturali con i quali tornare a riempire i numerosi fondi sfitti del centro storico. Avviando un confronto con le proprietà e prevedendo sgravi fiscali nei loro confronti, l’amministrazione è entrata in possesso (comodato d’uso gratuito) per tre mesi di gran parte di questi fondi, e ha così potuto fare un bando aperto a tutte le attività che volessero riempirli gratuitamente. Sono arrivati progetti da tutta Italia, con declinazioni diverse tra loro: dal commercio al laboratorio artigianale, alla produzione culturale o esposizione artistica. Accanto ad essi una serie di attività che prevedevano il coinvolgimento della popolazione non necessariamente dentro i fondi ma anche nelle strade e piazzette offerte dalla conformazione urbanistica del nostro piccol centro: laboratori, concerti, interviste di strada, mostre collettive di giovani artisti. Ne è scaturito un festival di tre giorni che ha riaperto la città proprio come i libri “pop_up”: le saracinesche abbassate sono state finalmente tirate su, e i cittadini sono tornati in gran numero a vivere il centro. In molti hanno ammesso che lo strumento per migliorare la qualità della vita di un centro non è quello di installare telecamere o vivere continuamente sotto scorta delle pattuglie, ma quello di riattivare le funzioni che hanno da secoli contraddistinto la città. Alla fine della tre giorni, alcuni dei partecipanti al bando hanno manifestato l’interesse a insediarsi stabilmente nel centro storico, invertendo il trend di chiusure degli ultimi anni. Chi ha ora la responsabilità del governo locale (io non sono più assessore) ha davanti la seconda parte del progetto, altrettanto delicata e importante, da consolidare: aiutare questi progetti ad insediarsi. A questo proposito, in cantiere c’era la redazione di accordi con istituti di credito e altri soggetti privati, o la previsione di nuovi sgravi fiscali non solo per i proprietari ma anche per chi prendeva in affitto il fondo. Se son rose..
Nel frattempo è nata un’associazione che prende il nome dal progetto (“Pop_Up”) che tra le sue finalità ha proprio quella di “contagiare” altre realtà esportando il progetto in altri comuni (mettendosi a disposizione delle comunità e delle istituzioni interessate), alla luce anche del grande interesse manifestato dalla Regione Toscana, che vede nel progetto una possibile risposta a dinamiche che coinvolgono molti centri storici della nostra regione.
L’esperienza, dopo tre progetti costruiti dal basso, con il coinvolgimento attivo della cittadinanza e con procedure inusuali rispetto al modo di procedere di certi settori della pubblica amministrazione mi conferma che il tema del coinvolgimento della cittadinanza, della negoziazione, della verificabilità delle politiche e della innovazione amministrativa costituisce uno dei pochi canali di rilegittimazione delle istituzioni e di riproduzione del capitale sociale (oltre che di miglioramento della qualità della vita e della coesione sociale) che anche a queste latitudini comincia a mostrare segni di erosione. La maggiore difficoltà all’inizio è stata quella di condividere certe impostazioni a livello di partito. Il mio ruolo nel partito mi ha forse aiutato a far discutere e accettare (con convinzione o con grande disillusione e scetticismo) certe pratiche amministrative. Quando poi si sono cominciati a vedere i frutti positivi (in termini di risposta positiva dell’opinione pubblica) c’è stata maggiore disponibilità e attenzione. Rimane la necessità di sdoganare certe pratiche che si rivelano utili per rivitalizzare non solo le istituzioni della democrazia rappresentativa, ma anche i corpi intermedi, sapendo dare ad esse un carattere il più strutturale possibile e rifuggendo da un loro ricorso saltuario, sporadico, come se fossero uno dei tanti strumenti di facile produzione del consenso.
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Giu 24, 2014 alle 22:43 #1376
Caro Cristiano, troppi stimoli
Ero molto indeciso su quale provare ad articolare una riflessione. Alla fine il tuo esempio sul conto energia ha toccato un mio nervo scoperto (per cui mi scaldo e adotto un tono meno formale) e non ho potuto resistere, per cui parto da esso per giungere a una critica (che spero venga letta in termini costruttivi) al partito.
L’esempio che porti sul conto energia è molto calzante e mette in evidenza, a mio giudizio, una delle questioni cruciali che sono fonte di quella “lentezza” nel processo a cui accennavo. La mia sensazione è che solo imprese medio-grandi hanno il mezzi (finaziari e culturali) per calvalcare, su tempi rapidi, gli incentivi statali relativi alle politiche ambientali. Tappezzare di pannelli solari terreno (potenzialmente agricolo) è una cosa da grandi imprese, e quindi, se c’è un incentivo (peraltro che rende l’installazione di pannelli seconda come rendimento solo al narcotraffico !!), l’incentivo funziona e, finalmente, iniziamo a produrre energia elettrica dal sole. Ristrutturare edifici invece è un affare da piccole-medie imprese. Ora le piccole-medie imprese non hanno gli stessi mezzi (finanziari e culturali) per adattare velocemente la propria attività per sfruttare gli incentivi statali. Inoltre la gestione di un processo di ristrutturazione (come la sostituzione di amianto a cui fai cenno) è un processo molto più complesso dell’installazione di un chilometro quadro di pannelli per terra (pensateci, rimozione di amianto, installazione pannelli solari, progettazione, magari preparazione di un piano finanziario che rensa il tutto accessibile al piccolo proprietario immobiliare o al piccolo condominio, gestione di un numero elevato di attori e di un gran numero di contesti di confronto, tra cui le tremende riunioni di condominio). Risultato. Non funziona.
Che vuol dire? Che necessariamente le politiche ambientali vanno prima pattuite con le lobby? (insomma, se fai una politica ambientale devi essere sicuro che il tessuto imprenditoriale per attuarla ci sia, e siccome un gruppo che riesce a fare efficacemente lobbing sicuramente c’è, meglio mettersi d’accordo con loro così almeno poi hai qualcuno che la attua).
Il medoto diverso che tu proponi “se dobbiamo fare investimenti non li facciamo cedendo alle pressioni lobbistiche, ma proponendo un modello ambientale e di sviluppo (non c’è dicotomia possibile)” mi trova, in linea di principio, d’accordo. Tuttavia per attuarlo servirebbe appunto “un modello ambientale e di sviluppo”. Ora forse 20 minuti di intervento di sono pochi, ma io, dalle parole di Chiara Braga non ho capito in tale ambito qual è l’attuale linea del PD. Badate bene, mi va anche bene che la linea non esiste ancora, o non è ancora definita e dobbiamo costruirla insieme, ma in tal caso mi piacerebbe che ci fossero spazi e metodologie che permettano di contribuire alla definizione della stessa.
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Giu 26, 2014 alle 9:29 #1378
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Giu 12, 2014 alle 14:23 #1342
Ottimo!
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