Il progetto

fabrizio

1. Ipotesi di lavoro

I gravi fatti di collusione fra amministrazione, partiti e criminalità venuti alla luce a Roma e che coinvolgono il Partito Democratico hanno natura fisiologica, prima che patologica.
Essi derivano infatti da due fenomeni concomitanti di lungo periodo:

  1. L’accumularsi di errori nell’azione pubblica di governo della città, specie in quella che avrebbe dovuto assicurare inclusione sociale ai suoi cittadini più vulnerabili (servizi essenziali di urbanizzazione, di sicurezza, abitativi, di cura degli anziani e dell’infanzia, etc).
  2. La progressiva trasformazione del partito in una “macchina per il bilanciamento del potere” priva di riferimento a una visione della città e a un progetto politico e mescolata in forme spesso improprie con l’amministrazione (municipale e comunale).

Sul piano del governo della città, strumenti e regole che in una fase iniziale, nei primi anni ‘90 – in presenza di forte tensione culturale, monitoraggio pubblico e partecipazione politica dei cittadini – avevano prodotto esiti importanti (come l’urbanizzazione primaria delle nuove periferie) si sono successivamente rivelati fragili o addirittura carichi di effetti perversi. Fino al loro uso degenerato dopo il 2008.

Nello stesso periodo la politica locale andava degradando. La nascita del PD non è stata l’occasione per rinnovare la visione di Roma attraverso un confronto di posizioni, ma una tregua armata, talora un compromesso spartitorio, fra gruppi diversi. Si è così tollerato che il partito divenisse strumento di cordate per la scalata al potere: un partito in franchising o feudale, in cui la “casa”, il “simbolo”, il “circolo”, sono presi a prestito per catturare le decisioni pubbliche in cambio voti e favori. A questa piega ha concorso la cinica presa d’atto che “così va il mondo”, che la pace sociale della città o la fornitura di servizi o la realizzazione di infrastrutture richiedessero, stante l’inefficienza pubblica, tolleranza verso nomine non meritocratiche, palesi abusi della concorrenza (nell’assegnazione di lavori o nel trasferimento di pubblici fondi) o addirittura le degenerazioni e le illegalità di cui si aveva sospetto, anche se non se ne era beneficiari. Assai negativamente ha pesato, infine, l’uso strumentale di Roma e della sua visibilità da parte di filiere di potere nazionali.

Il risultato di questa interazione fra indebolimento dell’azione pubblica e perdita di visione e autonomia dei soggetti politici è stato un sistematico rapporto perverso tra amministrazione e partito. Il partito non serviva più a raccogliere e traghettare fabbisogni, idee e possibili soluzioni dalla comunità di iscritti e cittadini agli amministratori, a tenere gli amministratori sotto controllo; il partito serviva ora a stabilire rapporti privilegiati e chiusi con gli amministratori.

È in questo schema che si sono formate diffuse posizioni di rendita e si è poi incuneato il crimine. Per quanto riguarda il governo pubblico, incarichi nell’amministrazione, in Consigli di amministrazione di società pubbliche, in consorzi o associazioni beneficiarie di commesse pubbliche sono avvenuti al di fuori di una logica di concorrenza sul merito e sono divenuti luogo dello scambio tra economia e politica, di arricchimento o affermazione personale senza riferimento al risultato. Per quanto riguarda il partito, sono venute meno la volontà e la capacità di comprendere e di connettersi con i fermenti innovativi della società romana, di costruire con loro una visione del futuro, di attrarli per rinnovarsi.

L’insieme di questi comportamenti ha relegato in un angolo, ha tolto credibilità davanti ai cittadini, ha spesso reso invisibile il lavoro di centinaia e centinaia di iscritti e volontari che nel PD continuavano e continuano a credere come comunione di valori e di impegno per cambiare in meglio le cose. E’ proprio questo lavoro, svolto nella fiducia che il “cambiamento” non possa tardare, che nell’ultimo voto cittadino ha introdotto importanti elementi di rinnovamento nella guida dei Municipi e del Comune, erigendo una difesa contro la deriva clientelare e affaristica. Ma la dominanza del partito feudale, il tempo che le sue pratiche sottraggono all’impegno nella società, le distorsioni che esso produce, impediscono che questo lavoro prosegua e lieviti al di fuori delle scadenze elettorali. Impediscono che i progetti di cambiamento facciano rete, maturino nel metodo, divengano prototipi del nuovo.

2. Guardare in faccia i problemi

Da questa ipotesi di lavoro discende una conseguenza per tutti noi che il partito vogliamo cambiarlo. Rimuovere dal Partito Democratico le “mele marce” senza costruire un metodo di lavoro del partito e una sua visione sul futuro e sul governo della città e dei municipi si rivelerebbe atto di corto respiro, destinato a essere presto seguito – nella consueta sorpresa generale – da una recrudescenza dei fenomeni degenerativi.

All’indispensabile azzeramento delle iscrizioni a cui non corrispondano motivazioni congrue con gli obiettivi del partito stesso e quella “partecipazione attiva” prevista dallo Statuto (art 2, comma 7) – intervento che spetta alla struttura straordinaria designata dagli organi nazionali – è indispensabile che si affianchi allora una riflessione coraggiosa sulla missione del partito, sulla sua organizzazione, sui suoi raccordi con la società e con il governo della città. Bisogna chiedersi in che modo costruire un’organizzazione aperta, che elabori idee in collaborazione e dialogo con la società, che le porti in maniera trasparente ai livelli decisionali, che controlli l’attuazione e contribuisca alla sua valutazione. E che, in tutto questo, sia capace di far emergere una classe dirigente rinnovata. Un partito moderno, insomma.

Per gettare le basi di tutto questo, per trovare la strada giusta, per apprendere e ripartire dalle esperienze migliori nascoste nel partito dei circoli, è necessaria una “mappatura” dei punti forza e di debolezza, del buono e del cattivo, dei singoli circoli della città. E serve che questa mappatura tenga conto delle regole e della prassi dell’azione pubblica con cui il PD è andato interagendo. E che i suoi esiti siano subito resi pubblici in formato di open data.
E’ questo il compito che il Commissario del PD romano ha affidato a Luoghi Idea(li).

3. Finalità della mappatura: partito buono e partito cattivo

L’indagine sui circoli del Pd deve rispondere alla domanda che molti, dentro e fuori il PD, oggi si pongono: è ricostruibile un partito utile ai cittadini? Ci sono davvero punti di forza da cui ripartire? E come? Il partito degenerato è battibile? E come? Ma è davvero utile investire ancora in un partito? Nel PD?

L’indagine rappresenta una “mappatura” perché è geo-referenziata. I problemi della città, i suoi malanni, le sue possibilità di uscita dall’attuale situazione, i lampi di innovazione, hanno il nome di strade, palazzi e quartieri, hanno confini segnati da ferrovie, marciapiedi, percorsi, sopraelevate, reti e dalla distanza dei cittadini dai servizi essenziali. E dunque per capire davvero qualcosa bisogna sovrapporre la mappa dei circoli – dei loro iscritti, anomali o normali che siano, del loro raggio di azione, partecipativa o corruttiva che sia – con la mappa della città vera, dei cittadini, dei loro servizi e disservizi. Lo faremo tenendo conto dei confini per i quali è disponibile informazione statistica: “territorio dei circoli” – la nostra unità minima di rilevazione – sezioni elettorali, sezioni censuarie, Municipi.

Mappa il Pd

La mappatura deve fare emergere, circolo per circolo, e con un’attenzione massima ai quartieri disagiati e di emarginazione della città, due caratteristiche che possono convivere sotto lo stesso tetto:

  1. la capacità di comprendere e rappresentare i fabbisogni, specie della parte più vulnerabile della città; di attrarre giovani e competenze; di adottare metodi nuovi di partecipazione e collegamento con l’associazionismo onesto che sta fuori del partito; di costruire soluzioni da proporre a chi esercita funzioni di governo (Municipi, in primo luogo); di monitorare e sollecitare in modo autonomo l’azione pubblica;
  2. la distanza dai cittadini e dai loro fabbisogni; la sovrapposizione di ruoli fra partito e amministrazione (Municipi, in primo luogo); la cattura da parte di interessi esterni; l’arte perversa di costruire feudi per controllare aree della politica pubblica; o anche solo la rinunzia a un ruolo autonomo da chi governa; o la ripetizione di riti stanchi, autoreferenziali, non ospitali.

Faremo quindi riferimento a due modelli di partito, che per semplicità chiamiamo “partito buono” e “partito cattivo”. Utilizzando le lezioni apprese nel progetto Luoghi Idea(li):  con i compagni e amici di Avellino, Cagliari, Catanzaro, Cesena, La Spezia, Milano, Parma, Roma stessa e “Sibaritide”, stilizziamo i “due partiti” secondo cinque caratteri che si prestano a essere misurati guardando ai fatti:

  • Il partito è ospitale o autoreferenziale? E’ buono se prova a farsi usare dai cittadini (singoli o associati), specie da quelli più vulnerabili o innovativi, come strumento per rappresentare e discutere i loro bisogni e le loro idee sull’azione pubblica e cercare una “quadra” fra interessi legittimi in conflitto. E’ cattivo se non lo fa, e anzi si muove solo quando si tratta di costruire e negoziare candidature o di rievocare nostalgicamente il passato.
  • Il partito lotta o “traffica” per gli interessi dei cittadini? È buono se si organizza in modo efficace e impiega la propria forza per mobilitare i cittadini e migliorare la qualità di vita nel territorio, sia con azioni dirette (di servizio), sia influenzando l’azione pubblica (dei Municipi e del Comune). È cattivo se non lo fa, e anzi collude con chi governa per tutelare interessi particolari, utilizzando i bisogni di singoli per costruire clientela.
  • Il partito controlla e stimola gli eletti e gli amministratori o li “copre”? È buono se ha la capacità e la volontà di monitorare, tenere sotto controllo, incalzare in modo trasparente e aperto l’azione pubblica degli eletti nel Municipio e nel Comune e degli amministratori. È cattivo se non lo fa, e anzi crea diversivi per nascondere o concorrere a realizzare errori/distorsioni dell’azione pubblica.
  • Il partito mette i propri candidati in una casa di vetro o li “vende senza garanzia”? È buono se fa di tutto affinché gli elettori siano informati su cosa ogni suo candidato abbia fatto nella vita per meritarsi il voto.È cattivo se non lo fa, e anzi lascia che gli elettori siano confusi e distorti dal rumore di costose campagne personali prive di impegni verificabili.
  • Il partito interpreta nel territorio battaglie di cambiamento nazionali ed europee o “pesta l’acqua nel mortaio”? Il partito è buono se raccoglie, discute e contestualizza in ogni territorio programmi/idee/campagne nazionali ed europee trasformando ogni suo circolo in un luogo di sperimentazione di un cambiamento corale (della scuola, del lavoro, dell’ambiente, etc.). Il partito ècattivo se non lo fa, e al massimo replica a livello territoriale il confronto nazionale delle idee senza attenzione ai fatti e alle persone del territorio.

È ben evidente che in una grande associazione-partito tutto si tiene. E che è difficile essere “partito buono” in ogni singolo circolo se questo non è il modello prevalente. Ma non ci sono più alibi. Nessuno di noi ha più alibi. E’ infatti anche vero che il “partito buono” non si affermerà mai se non si crea una massa critica di circoli che inizi a praticarlo. Il rinnovamento nasce attraverso un processo complesso che muove a un tempo dal basso e dall’alto. E dunque ha ben senso ricercare nei circoli di una grande città, addirittura della capitale del paese, l’esistenza di quei caratteri. Per non mortificare ancora una volta chi nonostante tutto ha ben lavorato. Per ripartire senza ricominciare da capo.

Sulla base della mappatura condotta alla ricerca di quei caratteri sarà allora possibile tentare una risposta alle seguenti domande:

  1. Quale è il grado di diffusione del partito buono e cattivo?
  2. Nella mappa della città che relazione c’è fra partito buono/cattivo e grado di esclusione sociale? (Insomma: nei quartieri dove l’esclusione sociale è più forte quale partito prevale?)
  3. Quali altre caratteristiche si osservano in modo sistematico nella presenza del partito buono e cattivo?
  4. Quali sono le forze e le motivazioni che portano alla confusione, al mescolamento di partito e amministrazione (Municipio, Comune)?
  5. Perché il partito non riesce a collegarsi, a rappresentare, le istanze creative o i bisogni nuovi della società romana?
  6. Quali fattori legati alla politica pubblica (norme, regolamenti, modi di attuazione, ruolo e organizzazione dei Municipi) sembrano favorire il partito cattivo? Idee per cambiarli?
  7. Quali regole o prassi di funzionamento del partito sembrano favorire il partito cattivo? Idee per cambiarle?
  8. Come ha pesato e pesa in tutto ciò la specialità di Roma come sede e arena di prova della classe dirigente nazionale? Quale azione politica cittadina, nazionale o europea può dare forza ai pezzi di partito buono, metterli in rete, farli agire come prototipo di rinnovamento?

4. Le informazioni e la rilevazione circolo per circolo

La mappatura partirà dalla costruzione di una base-dati quantitativa relativa ai circoli del PD e allo stato economico-sociale dei territori della città. Per quanto riguarda i circoli PD, il Commissario metterà a disposizione dell’indagine i dati relativi al tesseramento degli ultimi anni e quelli sui risultati delle primarie, dei congressi e delle diverse elezioni dell’ultimo triennio. Saranno anche messe a disposizione le informazioni sui tesserati fornite all’atto di iscrizione. Per quanto riguarda lo stato socio-economico dei territori della città, si utilizzeranno tutte le informazioni disponibili di fonte censuaria e amministrativa.

Larga parte delle informazioni necessarie deriverà da interviste circolo per circolo. È dunque in corso la predisposizione di una traccia di intervista che in modo sistematico consentirà di costruire indicatori che misurino il grado di diffusione dei due modelli stilizzati di partito. Associando questi indicatori alle informazioni quantitative sarà possibile tentare una risposta alle domande prima formulate.

Le interviste saranno condotte – se i dati su iscritti, primarie ed elezioni saranno stati resi disponibili – dalla terza decade di gennaio da quattro-cinque squadre di intervistatori. Ogni intervista avrà luogo con coordinatore e coordinamento di ogni circolo territoriale (oltre 100) e di almeno una parte dei circoli aziendali (circa 50). Gli incontri si svolgeranno nella sede dei circoli territoriali, ovvero nella sede che il Commissario metterà a disposizione del gruppo di ricerca.

5. Organizzazione e tempistica

Il progetto è coordinato da Mattia Diletti, Liliana Grasso e Silvia Zingaropoli con l’assistenza di Michela Di Vito e con la supervisione di Fabrizio Barca. Anche Fulvio Lorefice, Federica Marcelli e Patrizia Piergentili del team Luoghi Idea(li) guideranno alcuni gruppi di intervista, mentre Lucio Colavero lavorerà alla rappresentazione geo-referenziata della mappatura. All’indagine prenderanno parte numerosi esperti-volontari, fra cui Roberta Biasillo, Camilla Calviello, Filippo Celata, Raffaella Coletti, Simona De Rosa, Daniela Ferrazza, Silvia Lucciarini, Fabrizio Mazzonna, Antonella Rondinone, Venere Stefania Sanna, Rossella Sibilio, Andrea Simone, Federico Tomassi e Cary Yungmee Hendrickson, con riguardo ai profili urbanistico, economico, sociologico, statistico, politologico, informatico. Inoltre, ad alcune interviste parteciperanno i responsabili del PD dei luoghi nazionali coinvolti nel progetto Luoghi Idea(li), con il fine di portare la conoscenza del PD romano dentro il corpo di altri PD d’Italia, oltre la vulgata comunicativa, e di aprire le finestre del partito romano ad altre esperienze. Il PD nazionale finanzierà i costi della rilevazione.

Al fine di valutare i progressi compiuti nel corso del lavoro, confrontare criticità e ricevere suggerimenti per aggiustare il tiro, il progetto interagirà con il Commissario Matteo Orfini e con un “Gruppo di discussione indipendente” che dibatterà i risultati preliminari, intermedi/provvisori e finali del progetto.

Per quanto riguarda la tabella di marcia del progetto, questi sono gli obiettivi:
Entro metà gennaio 2015: Predisposizioni della base-dati, test e chiusura della traccia di intervista, piano delle interviste.

  • Terza decade di gennaio 2015: Avvio interviste nei circoli.
  • Entro fine febbraio 2015: Sulla base di un primo blocco di interviste, rilascio al Commissario di una sintetica “Relazione preliminare”.
  • Entro fine aprile/inizio maggio 2015: A interviste terminate, rilascio al Commissario di una “Relazione provvisoria”.
  • Entro fine maggio 2015: Pubblicazione del “Rapporto finale” e pubblicazione in open data di tutte le informazioni raccolte.

Durante il lavoro di intervista verrà fornita in modo continuativo, sui siti di Luoghi Idea(li) e del PD romano, un’informazione geo-referenziata sul grado di avanzamento delle interviste. Il progetto è anche su Twitter, con l’account @MappailPD.

Fabrizio Barca ed il Team dei Luoghi Idea(li)
26 dicembre 2014