• Oggi ho letto l’editoriale di Battista sul Corriere della Sera su quello che è successo in Commissione Affari Costituzionali del Senato.

    Pur rispettando l’opinione dell’editorialista (ci mancherebbe …) e ammettendo che le modalità della sostituzione di Mineo e Chiti, siano stata alquanto sbrigative, io non sono per niente d’accordo con Battista.

    Ritengo che ci sia una parte consistente del paese, professionisti dell’informazione, della cultura e dell’istruzione, della finanza e dell’industria e chi sostanzialmente per decenni ha vissuto, e bene, su rendite di posizione nel pubblico e nel privato … che non sente, per vari motivi, di interesse (spesso) o di principio (a volte), l’urgenza del momento.

    Per 20, 30, 40 anni questa parte del paese che in modo diretto, in quanto parte attiva della classe dirigente, o indiretto, attraverso il voto e la rappresentanza politica e l’associazionismo di categoria, ha governato il paese.

    E dalla stanza dei bottoni non ha fatto niente, un bel niente, lasciando ai propri figli e nipoti solo polvere.

    Ora, in un mondo che corre alla velocità della luce, in cui si stanno combattendo silenziose guerre fantascientifiche per il controllo delle informazioni, delle comunicazioni, dei brevetti e delle risorse del pianeta, una battaglia che rischia di emarginare l’Italia e l’Europa per generazioni, secoli, ora, ora non c’è più tempo. Siamo 20 anni in ritardo rispetto alla Germania, anche di più rispetto Stati Uniti, Cina, Corea.

    Potevano e dovevano farle prime le riforme istituzionali nei metodi, nei modi e nei tempi più consoni ai principi.

    Perdere un solo mese ora, come suggerisce di fare Battista nell’articolo, significa spostare di un altro mese le riforme vere e importanti del mercato del lavoro, del sistema fiscale, della scuola, dell’energia, della pubblica amministrazione, della ricerca, del lavoro femminile e giovanile e non saprei nemmeno dire quante altre.

    Queste sono le azioni vere, incisive e urgenti che la politica deve fare. E deve farlo adesso. Lo chiede il 41% degli italiani che hanno votato alle europee, ma lo chiedono anche quelli che hanno votato Grillo o non sono andati a votare.

    E tutti questi vogliono fatti adesso, non tra un mese. Perché ne hanno bisogno. Per mandare avanti la famiglia, per avere il coraggio di metterne su una nuova, per aprire una società, per assumere, per studiare e immaginare un futuro in Italia e non all’estero. Semplicemente per sperare di nuovo che questo paese, la comunità degli italiani, possa una volta ancora rigenerarsi, cambiare e offrire uno splendido esempio di creatività, di innovazione e di stare insieme come più volte siamo riusciti a fare nella nostra storia.

    La parte del paese che non comprende questa urgenza drammatica del cambiamento, quelle persone, hanno per la maggioranza un aspetto in comune. Fanno parte di una generazione. Una generazione che ha perso. Così cantava Gaber con notevole e ammirevole intelligenza autocritica. Lo ha ribadito anche Cacciari poco tempo fa. Questa è la realtà oggettiva dei fatti. E il giudizio storico di una generazione che è entrata nell’arena della vita comune volendo cambiare tutto e ha finito per ricostruire un sistema che garantisse a loro stessi in eterno il potere, l’agio e il benessere, non potrà che essere questo. Hanno perso.

    Tirare fuori i principi adesso, accusando chi, anche in modo irruento, porta avanti il cambiamento senza possibilità di rinvii, di non seguirli dopo che chi accusa appartiene a una generazione che ha perso proprio perché ha tradito quegli stessi principi, lo trovo veramente paradossale.

    In definitiva, dovrebbero fare solo una cosa, un regalo a questo paese dimostrando un grande senso del dovere e quindi del principio. Mettersi da parte. E lasciare finalmente a noi, figli e nipoti, la possibilità di provare a cambiare questa comunità con la speranza di essere ancora in tempo per riagganciare le lancette dell’orologio mondiale.

    Sbaglieremo? Sicuramente.
    Useremo dei metodi spicci? Sicuramente.

    Ma preferisco fallire perché ho fatto e ho sbagliato che fallire perché non ho fatto niente.

    • Non sono d’accordo su un punto (abbastanza decisivo): la fretta. Fare grandi riforme di fretta porta a danni irreparabili. Io sono un’insegnante e tutte le “riforme” che si sono succedute negli ultimi anni, fatte in fretta, senza l’apporto delle competenze necessarie, senza una seria riflessione, a colpi di machete (pardon di maggioranze e perché il Paese le chiedeva) stanno producendo effetti disastrosi che pagano e pagheranno proprio quelle generazioni che tu dici di voler guardare.
      Cambiamento sì, ma con giudizio e ponderazione, sennò ben venga una Rivoluzione vera.
      A me ‘sto Renzi pare andare allo sbaraglio.